Dente di leone, mais, riso, Guayule e perfino le bucce d’arancia. L’industria del pneumatico guarda verso l’agricolo per trovare materie prime di origine biologica atte a sostituire in toto o in parte le componenti di origine fossile delle gomme.
Che i pneumatici del prossimo futuro vedranno ridursi fortemente le loro componenti di derivazione fossile è fuor di dubbio. Tutti i Costruttori stanno lavorando alacremente in tale direzione e tutti, incredibile ma vero, più che alla chimica guardano all’agricolo per cogliere i propri obiettivi. Una ricerca che per ora riguarda solo il mondo automotive, ma che certamente, se darà i risultati sperati, trasferirà poi subito i suoi ritorni nei settori dell’industria e dell’agricoltura.
Nel lungo periodo si potrebbero quindi vedere macchine gommate con pneumatici “verdi” e azionate mediante biodiesel o biometano che lavorano nei campi per dar luogo a coltivazioni destinate a realizzare pneumatici “verdi” e bio-combustibili.
Un esempio di economia circolare portata ai massimi livelli, ferme restando tutte le problematiche in essere circa la competizione fra produzioni food e industriali, con le prime orientate a sfamare nove miliardi di persone e le seconde a far marciare auto, camion e trattori.
Sicuramente un’evoluzione “verde” del pneumatico acuirà le polemiche e gli scontri ideologici già in essere, ma la Storia insegna che ogni evoluzione sociale e industriale se valida trova poi i suoi punti di equilibrio e quindi non c’è motivo per non ritenere che anche la competizione di cui sopra possa muoversi in tale e positiva direzione.
Nell’attesa, ben vengano le ricerche per rendere ambientalmente più compatibili i pneumatici, studi in essere presso Bridgestone, Continental, Goodyear, Michelin, Pirelli, Sumitomo, Yokohama e Apollo Vredestein fin dagli Anni 90. Continental e Michelin furono le prime Case a presentare pneumatici a basso impatto ambientale in quanto realizzati con mescole atte a ridurre le resistenze al rotolamento e quindi i consumi di carburante necessari per vincerle.
All’epoca fu la silice che prese parzialmente il posto di altri materiali e quindi parlare di pneumatici “verdi” nei casi specifici è un po’ osé, ma linea di ricerca era stata tracciata e ben presto tutti gli altri Costruttori la imboccarono, con Goodyear che nel 2000 affrontò il problema in modo radicale e, con la collaborazione dell’italiana Novamont, sostituì parte del nerofumo e della silice contenuti nella mescola del pneumatico con un polimero biologico derivato dall’amido di mais.
Nasceva così il bio-pneumatico, un prodotto realizzato, sia pure parzialmente, utilizzando una fonte rinnovabile, la stessa che nel 2010 Yokohama ritenne di aver individuato in una mescola costituita per oltre l’80 per cento da materiali rinnovabili, in primis l’olio estratto dalla buccia di agrumi e la gomma naturale. Denominata “BlueEarth”, contribuiva a contenere i consumi di carburante mantenendo una buona aderenza al fondo stradale.
Nello stesso anno ancora Goodyear presentò poi un pneumatico realizzato con gomme sintetiche derivate da biomasse rinnovabili e due anni dopo Bridgestone presentò il prototipo di un pneumatico realizzato utilizzando solo materiali sostenibili.
A distanza di quasi vent’anni da quei debutti si può affermare che non ci sia un solo costruttore che non si stia impegnando sul tema, con Bridgestone, Continental e Sumitomo che si propongono quali sostenitori di una speciale gomma ricavata dalle radici del Dente di leone, detto anche Tarassaco russo. Tale pianta potrebbe essere una risorsa rinnovabile e commercialmente percorribile per produrre pneumatici ecosostenibili di alta qualità, anche alla luce del fatto che a differenza dell’albero della gomma può essere coltivata nelle Regioni temperate di tutto il Mondo.
A tali studi se ne affianca però anche un altro, sempre a marchio Bridgestone e orientato alla produzione di gomma naturale ricavata dal Guayule, un arbusto perenne presente negli Stati Uniti e in Messico che sta interessando anche Pirelli e Versalis, filiale chimica del gruppo Eni. Diversa la strada intrapresa da Goodyear. Lo scorso mese di giugno ha raggiunto un accordo con la cinese Yihai Food and Oil per l’approvvigionamento di silice derivata dalla cenere di lolla di riso, prodotto di scarto il cui smaltimento secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, rappresenta una grande sfida ambientale.
Oggi la lolla viene bruciata per generare elettricità e ridurre la quantità di residui inviati in discarica, ma se si riuscisse a trasformare in silice la cenere si disporrebbe di quantitativi di materiale interessanti. Da segnalare che tutte le ricerche di cui sopra non sono confinate nel chiuso dei laboratori. Continental ha infatti messo in produzione “WinterContact Ts 850 P”, un pneumatico invernale il cui battistrada è realizzato interamente con la gomma ricavata dalle radici del già citato Dente di leone, un prodotto che se apprezzato dal mercato sicuramente aprirà la strada ad altri analoghe realizzazioni.
Verdi, eco e bio
L’uso del termine “verde” per connotare un prodotto caratterizzato da contenuti tecnico-funzionali attenti all’ambiente è oggi generalizzato e anche il settore dei pneumatici offre ampie linee di prodotto “verdi”. Un conto è però parlare di gomme realizzate con mescole che in toto o in parte contengono materie prime rinnovabili e di origine naturale, altro di pneumatici “ecologici” perché realizzati con mescole tradizionali, ma strutturati in modo da minimizzare i compattamenti dei terreni e le resistenze al rotolamento. In entrambi i casi di tratta di prodotti che puntano a tutelare l’ambiente, ma lo fanno seguendo strade diverse. In agricoltura al momento è la seconda quella più gettonata, perseguita da tutti i Costruttori mediante linee di prodotto omologate “If” o “Vf” e quindi caratterizzate dalla possibilità di operare a bassa pressione in un’ottica di tutela del suolo.
A tali connotazioni si abbinano poi battistrada conformati in modo da minimizzare su strada le resistenze al rotolamento così da minimizzare i consumi e le emissioni ad esse connesse. Il tutto, ovviamente, senza che ciò sia pagato in termini di motricità. Due filosofie diverse quindi, che probabilmente nel prossimo futuro si affiancheranno fra loro per dare origine a pneumatici agricoli di nuova generazione che si proporranno quali “biopneumatici”, denominazione con la quale Goodyear lanciò nel 2000 il suo stradale “Gt3” la cui mescola era parzialmente realizzata con un polimero biologico derivato dall’amido di mais.